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Entra in fase operativa la Brexit, dopo quattro anni di trattative. Cosa cambia per le aziende italiane e per l’economia globale?

Il 23 giugno del 2016 – giorno della Brexit –  è stata una data decisamente importante per l’Europa. Avvenne infatti il Referendum sulla permanenza del Regno Unito nell’Unione europea. Il risultato, stando agli exit polls incerto fino a poche ore prima dell’inizio dello spoglio, si risolse in una vittoria abbastanza netta: 52% a 48%, a favore del cosiddetto Leave. E cioè del complesso di forze politiche che sostenevano la necessità di uscire dall’Unione Europea.

Sono passati quasi quattro anni da quella data. E, proprio in questi giorni, si sono concluse le trattative per negoziare l’uscita del Regno Unito dall’Europa. Importante sottolineare come già prima Inghilterra, Scozia, Galles e Irlanda del Nord non condividevano con il Vecchio Continente la moneta, cioè l’Euro. D’ora in poi, in aggiunta, nelle sorti europee, il Regno Unito non avrà più voce in capitolo. In questi quattro anni sono stati molto fitti i negoziati per “trattare” delicatamente tutti gli aspetti del caso, al fine di attutire al massimo l’impatto economico dell’evento. Per permettere alle imprese di gestire al meglio il nuovo modo di commerciare da, con e verso il Regno Unito.

Se alcuni aspetti hanno già avuto un impatto immediato (l’abolizione dell’Erasmus e il roaming per gli smartphone per citarne un paio), ce ne sono altri che sono in divenire e riguardano gli aspetti economici, in particolar modo i nuovi rapporti di commercio.

brexit

Regno Unito e Italia, cosa cambia?

Come si diceva, cambiano svariati aspetti nel come aziende italiane e inglesi interagiranno da qui in avanti. Bene è però chiarire un punto fondamentale: non è stata – come molti temevano – una Hard Brexit, cioè uno strappo netto. Questi quattro anni di incontri hanno infatti portato a cercare punti di accordo su molteplici temi (in ultimo quello della pesca in acque inglesi, ad esempio). Di modo che le rispettive economie armonizzino il più possibile le decisioni prese.

Per le aziende italiane cambia essenzialmente il meccanismo economico con il quale si interfacciano con le rispettive anglosassoni. In particolare in tema burocratico e di rendicontazione (alert: se avete una partita iva e fatturate in Uk aggiornatevi con dovizia di particolari perché i cambiamenti sono sostanziali). L’iter burocratico ad esempio che le merci dovranno subire per essere trasportate nel Regno Unito si allungherà (e non di poco, come dimostrato dal recente caso dell’ingorgo avvenuto all’imbocco del tunnel sulla Manica). Pare essere invece per ora scongiurato il rischio dei dazi doganali, soprattutto per tutto il comparto del Made In Italy.

In questo l’Europa sconta una posizione sicuramente favorevole rispetto a Londra. Se infatti il Regno Unito esporta il 43% dei propri beni verso l’Ue, ecco che solo il 6,5% delle merci prodotte dall’Unione Europea viaggia oltre la Manica. Questo dato mette sì al riparo il Vecchio Continente da turbolenze sui mercati, ma espone alcuni Stati che avevano nel Regno Unito un partner d’eccezione. In questo senso l’Italia si può considerare a metà del guado: il 5% dei suoi export finiva a Londra, ma generando un surplus economico abbastanza massiccio (circa 12mld di €).

Nessuno può sapere come e quanto il quadro economico cambierà per il l’Europa e il Regno unito. Il proverbiale “chi vivrà, vedrà” non è mai parso così accurate, come dicono Oltremanica.

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