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Una delle maggiori realtà della ristorazione italiana – Befed -, nella figura del suo Presidente ed Amministratore Delegato – Gianpietro D’Adda -, ci dà l’occasione per fare una panoramica sullo stato dell’arte del comparto franchising.

Salve Gianpietro, se c’è una cosa che mi ha colpito di lei è il fatto che la sua storia arrivi da parecchio lontano e da un palcoscenico che è sì quello italiano, ma interconnesso con una dimensione più plurale. Mi riferisco alla sua azienda di vivai, con perno sulla produzione diretta e importazione di piante mediterranee. Ce ne può brevemente parlare?

Arrivo da una famiglia che ha sempre trattato il mondo della floricoltura. Avevo un’azienda in Italia che seguiva soprattutto vendita al dettaglio di questo tipo di prodotti. Quindi questo è stato il mio primo approccio in questo territorio. Poi io sono andato in Spagna e ho creato un’altra azienda che esporta olivi nella maggior parte del mondo (dove queste possano sopravvivere), evitando di stressarle con viaggi troppo lunghi, essendo piante vive. Ho iniziato nel 2002.

Proprio a proposito di quest’esperienza, come era all’epoca – parliamo del 2007 – fare impresa in territorio extraitaliano? Vede differenze con la situazione contingente? E, soprattutto, lo trova più semplice?

Domanda controproducente (ride, ndr). Molto meno oneroso, situazione molto più fluida. Io sono ancora presente in Spagna, però non vendo nemmeno uno spillo lì. Coltivare gli olivi in quella zona è particolarmente facile, la scelta è stata quindi in primis geografica. C’è infatti la maggior concentrazione di vivai di questo genere al mondo, proprio per le caratteristiche climatiche uniche. Zona poco piovosa, clima per la vegetazione perfetto a 360°. Dalla crisi 2007/2008, in Spagna le persone hanno fatto a meno del giardino di casa. Il mercato è andato quasi a zero, tranne per Ibiza e Formentera, sul quale abbiamo comunque un po’ di movimento (che viene perlopiù da clienti italiani). Quindi ci siamo concentrati sul solo export.

2014, Befed: come si arriva dagli olivi ai galletti? Un’illuminazione?

Mi hanno portato un giorno a provare questa prelibatezza in un centro commerciale. Ho fatto la mia bella fila e, dopo averlo provato, mi sono detto che quel business lì non poteva non funzionare. Io mi sono sempre guardato attorno alla ricerca di nuove idee, e quella lì mi pareva perfetta.

Lei è entrato in Befed nel 2014, salvo poi rilevarne parte delle quote e acquisendola al 50%. Cos’è cambiato secondo lei dal suo affaccio su quel mondo sino ad ora, escludendo l’ultimo anno legato al Covid (sul quale torneremo più tardi)?

Guardandola da fuori, da affiliato (quale anche ora sono), è cambiato tutto, radicalmente. Non c’èra una piattaforma di logistica e ho fatto in modo che fosse creata, stesso discorso per la piattaforma del beverage. C’erano difformità che sono state progressivamente appianate e una rivisitazione complessiva del business in piedi. Abbiamo costruito un team che si occupa di marketing, di social e tutto ciò che il marchio Befed allo stato attuale rappresenta, dalla A alla Z.

Noi siamo sempre stati un po’ anomali. Anche in epoca pre-Covid, per dire, avevamo già sviluppato il discorso dell’asporto. In alcuni locali già arrivavamo al 30/40% di asporto. Questo aspetto era già parecchio inculcato nei nostri clienti. Questa situazione ci ha sicuramente favorito. In un panorama difficile, il 40% dei nostri locali fa esattamente gli stessi volumi di prima. Questo è ovviamente incoraggiante. Il discorso del take-away e l’abitudine delle persone a rivolgersi a noi già pre-Covid con queste modalità ci ha sicuramente permesso di mantenere il business. Quello che naturalmente è andato a scemare un po’ riguarda l’aggregazione nei locali più grandi, quelli sopra i 700mq.  Qui si vive una situazione magari un po’ più difficile, ma confidiamo che la situazione migliori nei prossimi mesi.

Il franchising è sicuramente ciò su cui Befed fa leva. I vostri locali sono sia di proprietà che in affiliazione. Che strada intendete  perseguire?
Ad oggi siamo 50/50, metà diretti e metà in affiliazione. Non ci diamo obiettivi, non vogliamo penalizzare una modalità invece che l’altra. Non intendiamo sbilanciarci in un senso o nell’altro. Poi ovviamente si va a guardare il caso specifico e su quello facciamo le nostro valutazioni.

Solitamente, chi vi scrive per provare a aprire un suo punto? Che tipo di profili vi contattano?

La maggior parte, fino a poco tempo fa, erano nostri clienti, che magari volevano cambiare settore e diversificare i loro investimenti. Capita che ci contattassero, conoscendo i nostri locali più attrattivi, e si affiliassero. Non nego il fatto che ora la gente si guarda attorno e, volendo ulteriormente diversificare il proprio business, si rivolge a noi per valutare l’apertura di nuovi punti Befed.

befed

Mi interessava poi capire come si articola la collaborazione con l’Atalanta, di cui voi siete silver sponsor. Insomma, avete già messo piede in Francia ma ora iniziano a vedervi in tutta Europa…

Abbiamo iniziato dal 2019, ed essendo io di Bergamo sono di casa con l’Atalanta. Ho voluto dare ancor più visibilità al marchio grazie alla squadra locale che, complici i successi sportivi di questo periodo, è molto attiva anche fuori dai nostri confini, dal momento che è impegnata in Champions League. Abbiamo un solo rammarico: avremmo voluto incentivare i nostri clienti ad andare allo stadio per assistere alle partire, purtroppo il periodo non lo consente.

Insomma, volete mettere sempre più il naso in Europa..

Stiamo valutando di espanderci – oltre alla Francia – in un paio di nazioni europee. Il punto è sempre il solito: intendiamo espanderci anche al di fuori dei confini nazionali, a patto che il nostro prodotto non venga snaturato.

..e nota differenze in questo senso rispetto alla sua esperienza in Spagna, della quale parlavamo prima?

In realtà sì, le differenze sono molte, è un altro mondo. Il franchising all’estero, essendo italiano, ha molte regole e sono molto rigide. Facciamo l’esempio francese: per aprire un locale, l’iter burocratico è particolarmente lungo e porta via parecchi mesi. Gli intoppi sono più all’estero che in Italia.

Beh, è sorprendente questo in un certo senso.

Assolutamente sì, ma c’è anche l’altro lato della medaglia, bisogna vedere sempre come si evolve la cosa. Mi spiego: in Francia, terminata tutta l’articolata fase burocratica e datoti l’ok per l’apertura, poi non vengono più a contestare determinati aspetti, cosa che magari in Italia tende ad accadere. C’è quindi un controllo preventivo, che consente tempi d’apertura magari più lunghi. Passato l’iter burocratico di approvazione, poi si va via tranquilli.

Essendo in uno dei settori più colpiti – quello della ristorazione -, come sta reagendo Befed ad un 2020 dettato da Covid-19? Che tipi di strumenti sono stati messi in atto per fronteggiarlo?

Posta l’abitudine, come sottolineavo prima, dei nostri clienti a ordinare d’asporto, cosa che ci ha ovviamente favorito, ci sono un paio di accorgimenti che abbiamo preso. In primis abbiamo dato possibilità a tutti gli affiliati, tramite un incentivo, di acquistare uno scooter per le consegne a domicilio. Abbiamo anche fortemente accelerato sulla realizzazione della nostra App. Grazie a questi due piccoli cambiamenti siamo riusciti quindi a tenere il timone saldo.

Ritiene che questo sia un buon momento nel quale investire?

Sarò sincero: se uno guarda l’ambito della ristorazione pensa che forse è meglio stare lontani. Però c’è anche da capire una cosa, che oggi ci si prepara per il domani. Prima di aprire un locale c’è un iter, che impegna almeno 4-5 mesi prima che sia operativo. Devo dire che abbiamo dei nuovi affiliati che stanno già portando avanti diverse aperture per il 2021. Abbiamo fatto vedere ai nostri nuovi partner i numeri che generiamo anche sul delievery e sull’asporto, che dimostrano come la contrazione sia stata – come sottolineavo prima – molto limitata, se non addirittura nulla.

E se dovesse dare due-tre consigli a chi vuol fare impresa nel mondo del franchising, quali darebbe?

Prima di tutto, fare una valutazione sulla stabilità e sull’espansione della catena di un’azienda, nel caso di un partner che voglia affiliarsi a un franchising già esistente. L’altra cosa è valutare bene i costi e ciò che l’azienda mette a disposizione. Noi ad esempio chiediamo all’affiliato un anticipo di 15mila euro, a fronte di nostre spese per 30/35mila euro. Quindi, dal nostro punto di vista, investiamo sempre nell’affiliato e questo costituisce sicuramente un plus. Poi: bisogna sempre avere chiaro in che settore ci si voglia introdurre. Con questi tre perni si può andare molto lontano.  molto lontano.

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