Covid-19 ha colpito anche il mondo della moda e del lusso. Se c’è però un tratto distintivo di come questo universo abbia saputo muoversi, ecco che questo è di rintracciarsi nella modalità grazie alla quale ha saputo reagire a tutto ciò che è accaduto. E cioè non trincerandosi all’interno dei propri steccati, ma mostrando una grande capacità di adattamento. Sebbene infatti molti grandi marchi abbiano perso fette di mercato non irrilevanti, la visione a lungo raggio si sta dimostrando, ancora una volta, l’unica percorribile.

L’anno da poco passato è stato cruciale per molti motivi. Sicuramente le case di moda e del lusso hanno preso la palla al balzo per efficientare le spese e i costi vivi, anche a costo di andare in perdita. E anche laddove il fatturato ha avuto un calo (pure significativo), il miglioramento dello stato patrimoniale è stato emblematico. I casi di Prada, di Kering o della Otb di Renzo Rosso lo dicono in maniera chiara e netta.  In questo senso, ancora una volta, emerge una verità inconfutabile: fare impresa assieme conviene.

I trust, nel libero mercato e in situazioni economiche così delicate, prendono sempre più piede. Basti pensare a un colosso Lmvh che acquista Tiffany, o Essilux che sta per mettere le mani su Grand Vision. Come pure la toscana Tod’s che non esclude future mosse. Senza poi ri-citare Rosso, che con la sue Diesel, ha da poco rilevato Jil Sander.

O, per dire, si potrebbe parlare di Exor che mette le mani su Louboutin, come pure Kering (che vanta la patria potestà su Balenciaga e Gucci) che prova a lanciare acquisizioni su brand del calibro di Moncler, Ferragamo e Versace. Insomma, anche sui grandi numeri – come sui piccoli – è dalla condivisione dei rischi che, allo stato delle cose, si riesce a fare capitale. Il franchising insegna.

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